IL MIMETISMO NEI CANI DA PASTORE

In natura, ai fini della sopravvivenza, ogni specie animale sviluppa caratteristiche e tecniche, date spontaneamente dall'evoluzione; una di queste consiste nella capacità di mimetizzarsi nell'ambiente circostante, il che vale sia per le prede, sia per i cacciatori, cosi da passare inosservati, per assumere forme e colori tali da diventare sgradevoli agli occhi di potenziali predatori; è il caso degli insetti, che assumono colorazioni simili a quelli di piante o frutti velenosi o repellenti.

Un altro tipo di mimetismo è quello dove la preda tende ad assumere le caratteristiche del predatore (è il caso di alcune tipologie di farfalle, la cui colorazione delle ali ricorda gli occhi della civetta, caratteristica che costituisce una forma di difesa nei confronti degli uccelli) e viceversa.

Nei cani, un esempio lampante di mimetismo lo troviamo nei cani da pastore, nelle due varianti di conduttori e guardiani; ecco perché, tra l'altro, i cani paratori hanno sembianze vagamente lupoidi: la loro vista suscita negli ovini reazioni ancestrali che li porta a raggrupparsi tutti insieme in cerca di protezione, mentre il cane compie dei giri intorno a loro e può, all'occorrenza, stimolarli alla corsa per sospingerli in una determinata direzione, come fanno i lupi con le loro prede durante le operazioni di caccia per intrappolarle. Si tratta di cani travestiti da lupi, dei quali riprendono le movenze e la tecnica di caccia, a partire dal modo di muoversi al trotto, in maniera elastica e leggera, creando negli ovini l'illusione di essere vere e proprie prede alle prese con un lupo vero.

Grazie a questa forma di imitazione del lupo, i cani da conduzione riescono a far eseguire alle greggi i raggruppamenti e i successivi spostamenti che, altrimenti, risulterebbero assai difficoltosi. Difatti, per quanto riguarda il cane guardiano, vale il discorso diametralmente opposto: egli deve avere un aspetto e dei comportamenti particolarmente rassicuranti per farsi accettare al pari di un vero e proprio membro del gregge senza suscitare reazioni di difesa o insofferenza, al contrario del paratore la cui opera è subordinata alla soggezione. Mantello chiaro, di tessitura lanosa, orecchie cadenti, espressione dolce e infantile, movimenti lenti e pesanti, talmente simile ad una pecora da sentirsi parte del gregge egli stesso.

D'altronde, non potrebbe essere altrimenti; spesso nasce nella rete che in mezzo alle pecore, che assieme alla madre e al pastore, costituiscono i primi essere viventi che il cucciolo vede e con i quali viene a contatto; si nutre di latte, formaggio, caglio, placente ovine, escrementi; si impregna fino al midollo del loro odore e gioca con esse, come fossero della sua stessa specie; egli le adora, prova per loro affetto morboso, senso di protezione innato, al punto di dare la vita per la loro incolumità, come fossero suoi familiari, si mimetizza in mezzo a loro per poter sorprendere eventuali predatori, giocando sul fattore sorpresa.

A questo proposito racconteremo di seguito un fatto di comprovata veridicità, risalente agli anni '70, quando ancora erano numerose le greggi e abituale l'usanza di spostarle a piedi attraverso le tortuose strade e i paesi della nostra terra. In un paesino dell'entroterra del fermano, in aperta campagna, viveva una famiglia di agricoltori in precarie condizioni economiche; il capofamiglia, essendo l'abitazione posizionata in maniera tale da avere un'ottima panoramica sul circondario, aveva escogitato un infallibile (o quasi) metodo per sopperire alle magre risorse domestiche: quando vedeva i pastori con il gregge passare sulla strada, correva attraverso i campi per giungere su di un tratto dove, di li a breve, avrebbe transitato il bestiame, si infilava in un profondo tombino di raccolta delle acque situato ai margini della strada (una posizione ottimale, dato l'usuale procedere laterale o in retroguardia degli agnelli ) e ivi attendeva; durante il passaggio del bestiame, nel momento più propizio, scaltramente usava afferrare qualche agnello per poi trascinarlo dentro e ucciderlo all'istante così da zittirlo; attendeva poi l'allontanarsi del gregge, per uscire e riportare a casa il frutto di questa originale forma di abigeato.

Un giorno, durante una di queste incursioni, potete immaginare il suo smarrimento nel costatare una certa qual difficoltà nell'uccisione dell'agnello da lui afferrato; anzi, altroché, in un attimo la situazione si capovolgeva: era l'animale che ora stava cercando di uccidere lui sbranandolo letteralmente. Probabilmente, il malcapitato ladruncolo non avrà avuto neanche il tempo e la lucidità di realizzare l'equivoco; fatto sta che aveva tirato dentro il tombino, con l'intento di strangolarlo, niente meno che....un grosso mastino abruzzese, il quale protestava vivamente di quel degradante trattamento ricevuto, chiedendo come risarcimento la vita del maldestro furfante, che, piuttosto malconcio, fu reso salvo solo grazie all'energico intervento dei pastori. Un perfetto esempio del mimetismo applicato nell'ambito della cinofilia.